Non ho mai saputo raccontare da lontano. Mi servono le voci, i corpi, la carne delle storie.
Racconto l’umano, non quello perfetto, ma quello che inciampa, che cerca un appiglio nel buio e, a volte, trova la luce. Sono cresciuto a Napoli, in un quartiere dove la vita non si recitava: si gridava, si difendeva, si amava con troppa forza.
Lì ho imparato che l’arte non è un mestiere, è un modo di respirare quando manca l’aria.
Da allora non ho smesso di cercare quella voce, la voce che salva, che denuncia, che consola senza mai mentire.
Nel teatro, metto in scena le ferite e la loro grazia. Con Di carne, L’inganno e i nuovi lavori nati al Teatro delle Briciole, cerco la verità che esiste solo quando il corpo e la parola coincidono.
Ogni spettacolo è un rito, un atto di presenza, un luogo dove la fragilità diventa un linguaggio comune.
Nella scrittura, trovo la mia intimità più feroce. Romanzi come Scimmie, Andrea torna a settembre, Tutta un’altra storia (Navarra)Era tuo padre (Rizzoli) sono viaggi dentro la memoria, storie che nascono dal reale ma cercano la redenzione. Scrivo per ricordare, per non cedere alla dimenticanza, per restituire dignità alle voci che il mondo tende a zittire.
Nel cinema, lascio che lo sguardo racconti ciò che la parola non riesce a dire.
Con Ventottoluglio Film & Media ho scritto e prodotto storie dove la realtà e la poesia si intrecciano, come Tarzan Soraia, Chapiteau, The Great of Francis Bacon. Il cinema è la mia seconda scena: la verità, ma con il passo del sogno.
Nella formazione, incontro le nuove generazioni. Lì il teatro torna a essere scuola di coscienza, uno spazio di dialogo, libertà e ascolto. Ogni laboratorio, ogni progetto educativo è un modo per camminare accanto, non davanti.
Oggi dirigo un teatro che è anche una casa — la Fondazione Solares delle Arti e il Teatro delle Briciole — un luogo dove artisti, spettatori e cittadini si somigliano, dove il gesto artistico si intreccia alla vita quotidiana.
Scrivo per ricordare che la grazia può nascere dal disordine, e che la bellezza non serve a consolare, ma a resistere. Non credo nei finali felici.
Credo nei gesti che tengono insieme i pezzi, nei silenzi che parlano più delle parole, nell’arte che — anche quando cade — cade sempre dalla parte dell’umano.